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Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona convivente "

  • annalisadami
  • 1 apr 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

Cass. pen. Sez. II, Sent. 02 marzo 2016, n. 8401

"Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona convivente "more uxorio", quando si sia in presenza di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra le due persone, con legami di reciproca assistenza e protezione"


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico - Presidente -

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere -

Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere -

Dott. TUTINELLI Vincenzo - Consigliere -

Dott. RECCHIONE Sandr - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4959/2013 CORTE APPELLO di PALERMO del 26/06/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/02/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VIOLA ALFREDO POMPEO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore Avv. Agati Ottorino che insisteva nell'accoglimento del ricorso.


Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Palermo, decidendo in seguito ad annullamento con rinvio della Corte di cassazione, condannava l'imputato alla pena di un anno di reclusione per il reato di maltrattamenti in famiglia riconoscendo l'esistenza di un rapporto more uxorio con la persona offesa. La Corte territoriale dichiarava invece non doversi procedere per remissione di querela in relazione al reato di lesioni, non aggravato in seguiti alla esclusione dell'aggravante teleologica.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato che deduceva:

2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento del reato di maltrattamenti in quanto mancherebbe il rapporto di stabilità affettiva di assistenza e protezione necessario per la configurazione del reato.


Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona convivente "more uxorio", quando si sia in presenza di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra le due persone, con legami di reciproca assistenza e protezione (Cass. sez. 6, n. 21329 del 24/01/2007, Rv. 236757).

La valutazione della esistenza del legame richiede un giudizio di merito che deve essere trasfuso in una motivazione priva di fratture logiche ed aderente alla emergenze processuali.

Nel caso di specie la Corte di appello osservava che "il fatto che l'imputato e la parte offesa successivamente alla nascita della figlia abbiano deciso di convivere e abbiano preso in locazione una casa familiare nonchè la circostanza che l'imputato ancorchè si sia reso protagonista di frequenti allontanamenti dalla casa familiare abbia continuato a pagare il canone di locazione le quote condominiali e le bollette relative alle utenze dell'abitazione costituiscono elementi che inducono a ritenere sussistente un comune intento della coppia di iniziare e proseguire una stabile convivenza con caratteristiche della famiglia di fatto, cioè a dire un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza" (pag. 3 della sentenza impugnata). La Corte territoriale, ai fini del riconoscimento del rapporto familiare, valorizzava dunque il progetto di vita condiviso emergente dalla gestione della casa comune. Il rapporto di stretta dipendenza affettiva e relazionale che rappresenta il presupposto del reato di maltrattamenti in famiglia nel caso di specie trovava pertanto un suo visibile precipitato nella cogestione dell'alloggio sede della famiglia di fatto.

Si tratta di un giudizio di merito privo di fratture logiche manifeste e decisive coerente con le emergenze processuali e con le linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità che si sottrae ad ogni censura in cassazione.

2. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2016




 
 
 

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